Fino alla verità: storia di due sequestri – recensione della serie Netflix

La serie diretta da Roberto Hernández cerca di indagare su alcuni casi di ingiustizia proponendo una narrazione che non aggiunge né toglie niente rispetto ad altri prodotti, ma non per questo si rivela inutile.

Disponibile su Netflix dal 23 novembre 2021, Fino alla verità: storia di due sequestri è una nuova serie che cerca di esplorare il mondo delle contraddizioni giudiziarie. Dietro la regia del messicano Roberto Hernández, la serie documentario si articola in quattro episodi di circa 45 minuti ciascuno, cercando di far emergere le storture di una riforma processuale quanto mai necessaria. Nella regione messicana del Tabasco, un tamponamento apparentemente banale si rivela un vero e proprio rapimento: in carcere finiscono quattro uomini accusati di questo crimine che, però, si sono sempre professati innocenti. Attraverso la loro vicenda, il regista e i professionisti del settore provano a sottolineare le carenze di una prassi giudiziaria che non tiene conto dei fatti, bensí solamente di come questi vengono vissuti e trattati dalle scrivanie dei tribunali. Nel sistema vigente in Messico, infatti, a farla da padrone è la parola scritta. Il giudice si trova a pronunciarsi di fronte a una serie di scritti riportanti opinioni di professionisti e trascrizioni di interrogatori e ricerche. In questo modo, di fatto, si lascia che sia la discrezione individuale a guidare il giudizio e non invece la realtà dei fatti, ignorando inoltre completamente le modalità con cui dichiarazioni (e talvolta confessioni) degli imputati vengono ottenute.

Fino alla verità: la serie di Roberto Hernández disponibile su Netflix

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Fino alla verità: storia di un sequestro non cerca di risolvere un mistero rimasto sospeso, ma cerca piuttosto di far emergere difetti di una riforma giudiziaria che sono facilmente identificabili da parte di tutti. Il regista stesso prende la parola e intervista i quattro incriminati di questo sequestro, il cui caso viene preso in carico da un nuovo avvocato pronto a mettersi in gioco con un reato molto diffuso in terra messicana e che spesso si approfitta di una rete di poliziotti corrotti e di teste di legno messe a loro disposizione, come delle specie di capro espiatorio che, magari dietro lauta ricompensa, mantengono intatto un superorganizzato sistema criminale. Il viaggio alla ricerca di una ritrovata giustizia termina nella quarta puntata con il nuovo verdetto, basato su una serie di testimonianze e dichiarazioni inedite, che potrebbe forse fare chiarezza sui fatti incriminati.

Con un incedere lento e cauto, Roberto Hernández conduce la narrazione della serie prendendosi tutto il tempo necessario per palesare al pubblico ogni elemento necessario a costruire un’opinione pubblica critica nei confronti del sistema in vigore e della sua riforma. Nel suo complesso, Fino alla verità: storia di due sequestri non riesce a coinvolgere gli spettatori a un livello tale da permettere una reale empatia con i protagonisti, ma cavalca comunque l’onda di un filone produttivo ben noto a Netflix e a tutto il pubblico, dedicato alle controversie di efferati crimini mal giudicati e di detenuti molto probabilmente innocenti. Questa nuova proposta Netflix non aggiunge né toglie niente rispetto alle riflessioni già avviate da altri documentari sullo stesso argomento e si lascia trascinare da un’estetica di nessun rilievo e un accompagnamento sonoro composto da dichiarazioni di intenti e testimonianze prettamente contingenti. In questo senso, la visione della serie viene scardinata della sua reale pericolosità sociale e la critica tanto auspicata viene disinnescata, o meglio viene offuscata da parole e immagini che finiscono presto in sottofondo, come una sorta di brusío indistinto. Non per questo la visione di Fino alla verità: storia di un sequestro si può dire inutile, ma senza dubbio il suo valore potenziale non si esprime al massimo per una costruzione narrativa piuttosto anonima.

Regia - 2
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3
Sonoro - 3
Emozione - 3

2.6

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