Alice in Borderland: recensione della serie TV Netflix

la recensione di Alice in Borderland, la serie TV Netflix che Sto arrivando! davvero come tenere lo spettatore incollato alla poltrona.

Tre amici, Arisu, Chota e Karuba. Un gioco spietato fino all’ultimo respiro. Una città svuotata che apre a mille misteri. Per questi ragazzi davvero o si vince o si muore. Parte da questo punto Alice in Borderland (Alice è Arisu in una traslitterazione), serie diretta da Shinsuke Sato, composta di 8 episodi, arrivata su Netflix il 10 dicembre 2020, che trae ispirazione dal manga omonimo di Haro Aso. Un momento prima i tre, Arisu (Kento Yamazaki), Karube (Keita Machida) e Chota (Yûki ​​Morinaga) sono a Tokyo, in un bagno pubblico per fuggire dalla polizia che li sta cercando, subito dopo, usciti dal bagno vengono catapultati in un inferno. Gettati in un’arena, una metropoli totalmente deserta – situazione che prima poteva sembrare pura fantascienza, ma oggi ha un sapore continuamente diverso -, Arisu e gli amici vengono portati in una Tana del Bianconiglio, come quella della Alice di Carroll, che mostra un mondo fatto di morte, paura e tradimenti in cui sopravvivono solo i migliori.

Alice in Borderland: o si vince o si muore

Mentre gli uni sono chiusi in un bagno, la Città è svuotata, dimentica di tutta quella vita che le è propria. Mentre fuori tutto è irreale, anche loro assistono a qualcosa di irreale, il gioco mortale a cui si deve partecipare per allungare sempre di più la durata del “visto” e non perdere la vita. Un inferno che prende la forma di un game che di prova e in prova si fa sempre più difficile, sempre più violento. Non sanno perché sono lì, non sanno chi li ha scelti; non sanno nulla ma Arisu e i compagni devono essere pronti a rischiare il tutto per tutto. Dopo una prima prova che sembra già violentissima: una sorta di labirinto da cui i giocatori devono riuscire a scappare prima che le stanze vadano a fuoco. Cosa si perde altrimenti? La vita; no, non è un’esasperazione, chi perde, muore. Arisu, Chota e Karube imparano questo a loro spese e mentre giocano imparano anche le regole: a ogni livello corrisponde una carta, ogni seme un tipo di game, ogni numero la sua complessità. Per sopravvivere il giocatore deve usare la sagacia, la forza fisica, la capacità di lavorare in gruppo e di mettere da parte i propri sentimenti e questo spesso vuol dire tradire chi si ama.

Il game dimostra i caratteri dei personaggi: Arisu è quello che viene definito un “neet”, un giovane disoccupato che non studia, non lavora, trascorre le proprie giornate di fronte ai videogiochi; questo stato di cose fa sì che i rapporti con i genitori siano difficilissimi. È un ragazzo fuori dal comune, dotato di logica e sensibilità, grazie al ragazzo infatti riusciranno a superare varie prove. Il timido, remissivo e religioso Chota e il ribelle, impulsivo e aggressivo Karube, sono sempre al suo fianco, come quando passavano i loro pomeriggi insieme, tra uno scherzo, un silenzio e una corsa.

Alice in Borderland: molti riferimenti per raccontare una storia di crescita

Alice in Borderland ha in sé molte influenze da quella che si evince dal titolo (Alice nel Paese delle Meraviglie) a quelle che riguardano costruzione e contenuto. C’è un rimando a Battle Royale (romanzo pubblicato nel 1999 da Koushun Takami, diventato manga e poi film, quello di Kinji Fukasaku), a Hunger Games, e soprattutto al manga Gantz di Hiroya Oku. La serie parte da alcuni stilemi tipici del genere, quei riti di iniziazione che fanno diventare adulti, elementi caratteristici anche di molte opere young adult, come Hunger Games appunto e i manga. Alice in Borderland funziona proprio così: Arisu e gli altri vengono messi di fronte alle proprie paure, ai propri istinti, alle proprie fragilità, dovranno perdere qualcosa per crescere, acquistando qualcosa d’altro. A sostegno di questo c’è la struttura che punta a presentare prove sempre più difficili, il protagonista usa le sue abilità per vincere e salvare (sé stesso, chi ama, il mondo) ogni cosa.

Sta proprio qui la forza della serie: nella costruzione della tensione e del ritmo tipico di un survival game che prende lo spettatore e lo conduce al finale che apre ad una seconda stagione. Durante i game Arisu sopravvive, cresce per farlo perde qualcosa e trova qualcosa, nulla sarà indolore né l’acquisire né l’abbandonare. Lungo i game incontra Usagi, ragazza con cui giocherà quando si sente e si ritrova solo.

Alice in Borderland è una serie complicata, ricca di colpi di scena che scuotono lo spettatore e i personaggi, un racconto scuro, sanguinario, un Alice nel Paese delle Meraviglie in cui Arisu è Alice, Tokyo diventa così un paese delle meraviglie trasformato in incubo, un tutti contro tutti dove l’obiettivo comune è tornare al mondo vero.

A metà tra game e analisi sociale

In un mondo così dove puoi coltivare la speranza

Gli otto episodi della prima stagione di Alice in Borderland dipingono un pezzo di terra cruento, cinico, folle e la narrazione è divisa in due: da una parte il vero e proprio game (i primi quattro) a cui partecipano i giocatori, dove Arisu e gli altri vengono messi alla prova. Negli ultimi episodi, quelli ambientati nella Spiaggia, luogo in cui Arisu e Usagi si ritrovano per cercare una via di fuga, emergono le dinamiche sociali, relative ad una nuova comunità, lì si sono riuniti i sopravvissuti, lì “governa” il Cappellaio che ha scelto di controllare quel gruppo attraverso una gerarchia piramidale in cui il bene del gruppo viene prima di quello del singolo.

Io darò vita ad una città ideale, un’utopia, per tutti coloro che sono in preda alla disperazione.

Questo è un rifugio o almeno così dovrebbe essere, è un’utopia come la chiama spesso il Re. Si tratta di un paradiso? No, perché ci sono delle tensioni tra il Cappellaio e i suoi Lottatori; no, perché in ogni gioco c’è un game master che guarda ogni cosa dall’alto.

Tra una prova e un’altra, si parla di senso di colpa, di morte, di sacrificio, si mette in campo la solidarietà e anche l’egoismo; è un racconto di amicizia pura e sincera, dei primi palpiti del cuore e della capacità di usare ciò che si sa per vincere. Quello di Alice in Borderland è uno strazio violento, uno strappo da cui esce rabbia, sfiducia per ciò che è stato prima (in un corpo a corpo tesissimo due giocatori parlano di quanto sia diverso il loro rapporto con il passato, avendo un diverso modo di sopravvivere), un’assenza totale di speranza (Arisu dice che quelli di Aguni “sono occhi che hanno perso la speranza”, occhi molto simili ai suoi) perché quando perdi qualcuno ti senti perso e solo.

Alice in Borderland è tipico show della sopravvivenza ma è anche storia apocalittica. Si fa disamina sociale: la serie mostra una cultura, quella orientale che mette al primo posto da una parte la collettività – e in nome di questa si può colpire anche il proprio amico se questo sbaglia -, dall’altra parte il sacrificio del singolo. Tanti sono i personaggi che si sacrificano o provano a sacrificarsi per gli altri, tanti sono i momenti eroici ed epici che colpiscono.

Nella Spiaggia tutto se possibile si fa ancora più complicato, in quella che è una riproposizione di varie dinamiche e schemi della società ci sono tutti i tipi umani: zoo ambientato dai più disparati esseri umani. Lì, ci sono personaggi inquietanti, un killer super tatuato, una transgender abilissima con le arti marziali, il Cappellaio, Aguni, capo dei lottatori. Ogni personaggio ha un suo ruolo, un modello a cui fare riferimento – gli stereotipi del manga eppure riescono a colpire lo spettatore.

Una serie che colpisce e tiene incollato lo spettatore

Alice in Borderland_Cinematographe.it

Alice in Borderland sicuramente non è una serie originale perché derivativa, eppure è una serie che grazie ad una costruzione narrativa ben fatta, alla regia che è spettacolare, agli attori che interpretano a meraviglia i loro ruoli, piace al pubblico, incuriosendolo, facendolo commuovere e tremare di tensione – il ritmo è sempre teso e incalzante.

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