Recensione da letto – Everest

LUI: Everest, film gelido e spietato diretto da Baltasar Kormákur.
LEI: spettatrice vagamente infreddolita ma piuttosto soddisfatta.

– Beh, non dici nulla?
– Intendi oltre alla sensazione di freddo?
– Dai, scema… ti sono piaciuto o no? Non sono un film facile, te ne do atto…
– Se non altro, Everest, non sei il classico film catastrofico.
– Ti aspettavi un film catastrofico?
– Mi aspettavo… Anzi, temevo un film alla Roland Emmerich, hai presente? Un film come 2012, o The Day After Tomorrow, o Godzilla, in cui l’unica cosa decente sono gli effetti speciali e la fotografia, mentre tutto il resto è da offesa alla pubblica decenza.
– Non è nel mio stile. Anzi, direi che sono un film dal ritmo abbastanza rilassato. Sai che sono tratto da una storia vera, no?
– Sì, la spedizione del 1996, quella in cui sono morti in otto.

Jason Clarke in Everest

Jason Clarke spiega: “Ecco, quando arrivate a questa altezza, cominciate a tirare le cuoia…”

– Esatto. Vedi, non mi interessa raccontare l’eroismo. Nemmeno la tragedia, più di tanto. Voglio porre l’attenzione sull’agonia: su come il corpo umano, in certe condizioni, smetta di funzionare. Per la prima mezz’ora scorro tranquillo, do quasi l’impressione di una scampagnata, con gente che scherza, ride e balla. Poi cominciano i problemi.

Everest movie

Definizione di “problemi”.

– Quantomeno, fai passare la voglia di fare un’escursione in alta montagna. C’è da dire una cosa: il tuo regista, l’islandese Kormákur, non cede a beceri trucchetti per tenere alta la tensione. Tipo, la colonna sonora c’è ma si sente appena, coperta dal rumore del vento, che è praticamente incessante.
– Ah, non solo il mio regista non ricorre trucchetti. Fa un uso molto espressivo dei cambi di scena: per esempio staccando da una scena in cui vediamo la faccia devastata dal freddo del protagonista, interpretato da un ottimo Jason Clarke, ad una scena in cui la moglie del protagonista, Keira Knightley, si stiracchia sotto un piumino mostrando le braccia nude. Riesco ad evocare, a tratti, sensazioni quasi tattili.
– Tra l’altro, Kormakur è lo stesso regista di 2 Guns, che è stato uno dei migliori film d’azione del 2013… Insomma, Everest, vuoi evitare ad ogni costo i facili sensazionalismi.
– Beh, qualche scena che mira a far versare la lacrimuccia c’è, soprattutto nel finale, ma sempre con moderazione. Del resto, il materiale di base è abbastanza “documentaristico”. Se sono un film che può piacere a tutti, è grazie ad un cast di nomi che tirano

Jake Gyllenhaal in Everest

Fai meno il guappo, Jake Gyllenhaal, che tanto (SPOILER!!!) tra un po’ tiri le cuoia pure tu.

– E che cast! Raccogli molti nomi noti del cinema, Everest. Da Josh Brolin a Jake Gyllenhaal, da Robin Wright a Emily Watson. Ti dirò, Everest: a tratti mi sembravano addirittura sprecati…
– Ti dirò, dolcezza: non sono uno di quei film che si poggia sulla prestazione degli attori. Non mi interessa l’elemento umano della storia, né mi interessa la storia personale dei protagonisti. Il messaggio finale è “Con l’Everest non si scherza. Con la montagna non si scherza. Sopra gli ottomila metri di altitudine, le vostre miserie non contano più nulla, e nel momento in cui finite l’ossigeno siete delle foglie al vento.”
– Giusto. E a chi piace la montagna, piacerai anche tu.
– D’accordo, bene. Ma a te sono piaciuto o no…
– Direi di sì. Ma mi hai lasciato addosso come un brivido…
– Oh. Torna sotto le coperte, allora. Magari riesco a scaldarti