Biografilm 2016 – We’re still here: Johnny Cash’s Bitter Tears Revisited: recensione

Johnny Cash è stato un demone. Le sue canzoni narrative, ossequiose, concettuali, politiche, plumbee nascono e muoiono nello stesso momento, si consumano come un manifesto in fiamme, una voce sorda tra le sue note. Assecondava gli afflitti, chi non aveva mai avuto una voce per difendersi, le sue canzoni sono atti di puro amore, in cui non guarda mai le sue esigenze ma diventava le necessità dell’altro, del dimenticato. In Bitter Tears: Ballads of the American Indian, invoca il ricordo degli indiani d’America, rivendicando una devozione atavica, cantando le sofferenze e le proteste degli indios mescolando storia, emozioni, orgoglio e perdono. Antonino D’Ambrosio ha scritto il romanzo A Heartbeat and a Guitar: Johnny Cash and the Making of Bitter Tears che manifesta a distanza di 50 anni la totale tirannia da parte degli americani prima e delle radio poi. Radio che per anni ha sempre obliato e marginalizzato le ballate di Johnny Cash e del suddetto album Bitter Tears, che D’Ambrosio ha contribuito a sublimare tenendo salda e rediviva la sua posizione di album di denuncia e concettuale sui torti e le ingiustizie subite dal popolo dei nativi americani, in ogni tempo, ovunque.

We’re still here: Johnny Cash’s Bitter Tears Revisited: D’Ambrosio fa riecheggiare le iniquità e le tensioni razziali verso un’etnia non estinta

Johnny Cash

Essi come molti protagonisti delle opere di Johnny Cash non avevano mai avuto qualcuno che combattesse per loro, che rivivesse e ricordasse soprusi e invasioni illegittime e disattese. Primo esempio che viene citato in Bitter Tears è il caso in cui Kennedy infranse il trattato di Pickering, che sanciva la pace fra l’America e gli indios e il rispetto delle loro terre, ratificato durante il mandato di Washington nel 1794. Nel 1960 gli States cominciarono la costruzione di una diga, la diga Jinzua sul fiume Allegheny, che costrinse seicento persone ad abbandonare per sempre le proprie origini, i Seneca, le terre dei propri avi, incontaminate, inondando di illegalità e violenza 10000 acri di terra protetta dal trattato. Questa storia è interamente cantata da Johnny Cash nella ballata As Long As the Grass Should Grow, finché l’erba crescerà, una canzone che si consuma tra la narrazione delle verità taciute e degli interessi dell’immensa violenza. Essa era la storia di un popolo, una storia che è condensata nei solchi, nelle zolle, nelle acque dei fiumi, e mai rispettata. Non tutto il passato è scritto su pietra, non tutte le opere sono tele o sculture, gli indiani detenevano ogni ricordo, ogni ricchezza nel suolo. Quella era l’unica fonte di appropriazione della loro identità. Lo stupro efferato reso legale negli anni fu perpetuato dal disinteresse delle radio di fare ascoltare le ballate di Johnny Cash poiché la sua, di narrare le ingiustizia degli apache, fu una scelta desueta e impopolare. Riprese alcune canzoni folk di Peter Lafarge, che dedicò quasi tutta la sua carriera a ricordare gli indiani pellerossa come Ira Hayes, con la celebre The Ballad of Ira Hayes: era un soldato indiano che passò alla storia per aver alzato la bandiera americana a Iwo Jima e che concluse poi la sua vita disadorna fra alcool e abbandono.

Johnny Cash

D’Ambrosio svela nuovamente la coltre di silenzio che ha seppellito la storia dei pellerossa chiamando a rileggere quelle canzoni per mano di grandi cantautori della musica folk che conoscevano Johnny Cash e lo ammiravano, eseguendo le ballate in toni reverenziali ma non speculari, gente come Norman Blake, Kris Kristofferson, Emmylou Harris e Gillian Welch. Essi grazie al produttore Joe Henry incisero su ispirazione del libro una versione molto più meditativa, passionale, individualista e struggente di Bitter Tears. Da ricordare le note di Drums del genio Peter Lafarge e di Custer. Lafarge scomparse prematuramente a 34 anni: “invidio il tuo cuore, ma non potrei stare con il tuo mal di testa” gli dissero. Il suo successo The Ballad of Ira Hayes ispirò sia Cash che Dylan e nel suddetto documentario è ripresa da Kris Kristoffersen in toni epici e malinconici. Custer, la cui storia è narrata ne Il massacro di Fort Apache di John Ford fu un generale comandante della cavalleria durante la guerra di secessione e che combatté durante le cosiddette guerre indiane, in cui perse la vita insieme ai suoi uomini durante la battaglia di Little Big Horn. La sua figura fu molto controversa e Johnny Cash non perse un secondo per criticare la sua sorte e la sua condizione, poiché nonostante le depredazioni e la maniacalità dei suoi omicidi venne ricoperto di ogni tipo di onorificenza, svelando la piccata ipocrisia americana che definì la battaglia in cui venne disfatta la sua settima cavalleria un massacro, mentre radere al suolo i possedimenti dei pellerossa stuprando donne e uccidendo i nativi erano definite vittorie.

Johnny Cash

D’Ambrosio fa riecheggiare le iniquità e le tensioni razziali verso un’etnia non estinta ma vivida, presente, reale, i cui torti subiti sono stati narrati da Johnny Cash in un disco edificante e certamente dal sapore amaro, che sancisce l’unione e la devozione che egli provava verso gli ultimi, verso coloro che non avevano difese od opportunità di essere ascoltati.

Regia - 4
Fotografia - 3.5
Sonoro - 5
Emozione - 5

4.4