Biografilm 2016 – Holy Hell: recensione

Holy Hell è un documentario diretto da Will Allen e prodotto da Jared Leto, presentato nel corso del Biografilm Festival 2016, all’interno della sezione Contemporary Lives. Si tratta del primo film diretto da Allen, che nel proprio curriculum vanta anche una brevissima apparizione in una puntata dello show televisivo Lost, nel marginale ruolo di Arturo. Il regista in Holy Hell racconta un’esperienza da lui vissuta in prima persona, cioè la sua adesione e partecipazione per circa 22 anni al Buddhafield, una piccola comunità di Los Angeles basata sull’amore e sull’accettazione e guidata da un carismatico ed enigmatico leader spirituale.Holy Hell

Holy Hell: un angosciante e doloroso documentario sul potere della persuasione

Attraverso interviste, video di archivio e altri girati appositamente per il documentario, Will Allen in Holy Hell racconta le vicissitudini dei suoi 22 anni passati nel Buddhafield, dal 1985 al 2007, mostrando tutti i salutari effetti che questo culto di gruppo ha portato ai suoi membri, ma anche i suoi risvolti più negativi. Solo dopo tanti anni infatti, i membri della comunità hanno amaramente scoperto che colui che consideravano una mente illuminata dai benefici poteri psichici era invece un impostore che si approfittava della sua posizione e del suo ascendente sui suoi adepti per fini economici o carnali.

Holy Hell

Holy Hell, ovvero, traducendo letteralmente, Santo Inferno. Un titolo ossimorico che diventa una dichiarazione di intenti, utile per approcciarsi a questo interessante documentario, la cui visione difficilmente lascerà indifferenti. Will Allen tenta un’operazione particolarmente difficile, cioè tradurre in immagini e in racconto le sensazioni e i sentimenti di persone (lui compreso) che hanno scoperto di aver passato più di due decadi nella menzogna, ma che comunque non rinnegano i momenti felici e le esperienze positive che hanno vissuto. La prima parte del documentario ci mostra così le dinamiche e le attività di quella che agli occhi degli spettatori più cinici e scettici appare come una setta basata su vaghi concetti New Age, i cui membri vivono un’esistenza ovattata e sospesa nel tempo, simile a un lungo trip psichedelico, nonostante la droga non c’entri nulla. Ci si ritrova a essere quasi sfiniti da un’apparentemente interminabile sequenza di ricordi e testimonianze dei membri di questo culto, che raccontano i loro giorni felici vissuti in gruppo, con la salda guida del leader Michel, all’insegna della meditazione, della condivisione e della ricerca della vera essenza della vita, spiegando nel dettaglio le attività e le pratiche in cui erano coinvolti e gli effetti benefici che tale esperienza ha apportato alle loro vite. L’Inferno però non tarda ad arrivare con la seconda parte del documentario, decisamente più riuscita e coinvolgente, al punto da ridimensionare le perplessità sorte durante il primo segmento e renderle in qualche modo funzionali al racconto. Le atmosfere della pellicola si fanno più cupe, le espressioni degli intervistati più meste, i toni di voce più bassi. Un netto cambio di registro che rende abilmente tutta la delusione di chi è stato ferito da una persona che idolatrava e la disillusione di chi ha creduto per anni a quella che in realtà era solo un’interpretazione particolarmente riuscita e credibile di un ex porno attore fallito. Le stesse persone che pochi minuti prima raccontavano col sorriso una parte della loro esistenza adesso spiegano la loro reazione alla scoperta della terribile verità, cioè che Michel (in seguito Andreas) per anni ha sfruttato la sua bugia architettata ad arte per indurre i suoi adepti a donargli denaro, a concedersi sessualmente a lui e in certi casi addirittura ad abortire. Difficile allora non provare una sincera compassione per queste persone che ingenuamente e in buona fede raccontano di come hanno concesso tutta la propria anima a un uomo di cui ora riescono a cogliere tutta la depravazione e la meschinità, nascoste dietro a un inquietante e mefistofelico ghigno di soddisfazione. Con un ben congegnato mix di commenti, video personali e riprese con telecamere nascoste, assistiamo così al risveglio e alla liberazione dall’inganno e dal dolore di una parte del Buddhafield, che lasciano il gruppo per farsi una nuova vita lontano da Michel e dai suoi finti insegnamenti. Come un ingranaggio ben oliato però, il male continua a girare e a mietere vittime, così veniamo messi di fronte al suo perpetuarsi in un ciclo infinito, con alcune persone che rimangono con Michel nonostante siano a conoscenza della verità, ed altre che si uniscono a lui per formare un nuovo gruppo, che presumibilmente subirà le stesse vessazioni.

Holy Hell

Nonostante una prima parte ripetitiva ed eccessivamente dilatata nei tempi, Holy Hell si rivela un documentario riuscito e utile per mettere in luce i meccanismi che in nome di un culto discutibile e di ideali aleatori portano persone fragili e sprovvedute a farsi letteralmente rovinare l’esistenza da opportunisti e approfittatori; un’opera non perfetta e a tratti troppo autoindulgente verso una situazione che il regista ha vissuto sulla propria pelle, ma che ha il pregio di fare uscire dalla sala scossi e afflitti per la consapevolezza che nonostante il progresso questi eventi continuano ad accadere ogni giorno, più vicino a noi di quanto possiamo immaginare.

Regia - 3
Fotografia - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.5