Eternity: recensione del film di David Freyne
Elizabeth Olsen, Callum Turner, Miles Teller e Da'Vine Joy Randolph sono i protagonisti di Eternity, commedia sentimentale-fantastica ambientata nell'aldilà solidissima e emozionante. Dal 4 dicembre 2025 in sala.
E se il format – commedia fantastica sentimentale ambientata nell’aldilà – non è un inedito assoluto, a Hollywood e dintorni (qualche esempio più avanti), Eternity, in sala dal 4 dicembre 2025 per I Wonder Pictures, ha il sapore, se non di una novità, almeno di vecchia conoscenza che mancava da un po’ ed è bello ritrovarsi. Regia di David Freyne, suo anche lo script insieme a Pat Cunnane, Eternity è un caso insolito per il cinema americano: una bella premessa sviluppata in maniera intelligente a monte (il copione) e a valle (la messa in scena). Perché un film del genere funzioni non bastano una scrittura saporita e una regia in grado di combinare azione, definizione delle psicologie e sentimento; servono “abiti” giusti per le idee e le emozioni. Serve un buon cast. Qui è ottimo: Elizabeth Olsen, Callum Turner, Miles Teller + Da’Vine Joy Randolph. Tre più una, e sarà chiaro a breve perché è giusto parlarne così.
Eternity: una donna, due mariti, e un’eternità da scegliere

Larry (Miles Teller) nell’aldilà ci arriva come tutti, in treno, poi si sposta in un’enorme sala da attesa – stazione ferroviaria e limbo – dove potrà scegliersi l’eternità che preferisce. Di lui si occupa un’agente selezionata, vale così per tutti, e nel caso di Larry è Anna (Da’Vine Joy Randolph). Larry è stato con Joan (Elizabeth Olsen) per più di sessant’anni e poi è morto strozzandosi con un salatino. Poco tempo dopo, Joan raggiunge Larry. Per sempre (e sempre, e sempre) felici e contenti? Neanche per sogno. È a questo punto che Eternity ingrana, valorizzando la premessa con un paio di scelte interessanti.
Nel limbo ferroviario, oltre a Larry c’è anche Luke (Callum Turner), il primo marito di Joan, morto in guerra in Corea nei primi anni ’50 molto prima che la donna e Larry si incontrassero. Luke non ha mai smesso di pensare a Joan e l’ha tenacemente aspettata, in attesa di condividere con lei l’eternità… in un’eternità a scelta. Ora, se c’è un’idea forte di Eternity è precisamente la geometria del cast. La formula tre più una, di cui si è parlato all’inizio, può essere interpretata in due modi. Da un lato, isolando i tre cuori in tumulto del film – Miles Teller, Callum Turner e Elizabeth Olsen – rispetto all’elemento esterno, la voce e il volto dell’aldilà Da’Vine Joy Randolph. È il modo più ovvio, e il più pigro.
Molto, molto meglio isolare e dare lo spazio che merita a Elizabeth Olsen. Joan è la stella polare di Eternity, nonostante la democratica gestione del minutaggio del cast orchestrata da David Freyne. Joan è una madre e una moglie, e per gran parte della sua vita ha dimenticato che c’era anche un mondo lì fuori. In un oltretomba curiosamente ambiguo quanto all’esistenza di Dio, senza inferno o paradiso o valutazione moralistica dei pro e contro della vita appena trascorsa, ogni defunto può scegliersi l’eternità che vuole – il film ha cura di essere molto creativo a riguardo – e non si può tornare indietro, una volta scelto.
Joan vuole essere felice alle sue condizioni, ma senza sacrificare i suoi sentimenti. Ora ha due amori da mettere sulla bilancia, Larry e Luke, e non può portarli entrambi nella sua eternità. Eternity è dunque la storia del commovente, ironico, scatenato e folle balletto dei due spasimanti e della donna indecisa che si sforzano di trovare la giusta configurazione per il loro amore. Vincerà Callum Turner, l’incarnazione del sentimento nella sua forma più pura, ideale, terribile – ha aspettato 67 anni il suo momento! – o Miles Teller, marito in vita e per tutta la vita, espressione di un amore più terreno e rassicurante? O magari, sussurra il film qui e là, Elizabeth Olsen sceglierà sé stessa?
Il futuro del cinema fantastico è donna

La scelta arriva, ed è bene non spoilerarne il contenuto. Va però sottolineato, e apprezzato, come Eternity valorizzi l’indipendenza di Joan senza negarle la possibilità di vivere pienamente il suo sentimento. Non è importante, in questa sede, sapere se Elizabeth Olsen sceglierà sé stessa, Larry o Luke; la cosa importante è che la regia di David Freyne costruisce un personaggio femminile lontano da ruffiani e comodi ammiccamenti pesudofemministi, senza per questo scadere in una visione retrograda dei rapporti di coppia. La scelta, per dirla in breve e qualunque essa sia, è umana, sincera; soprattutto è vera.
È questa la differenza sostanziale tra Eternity e i più famosi film del filone “storie sull’aldilà con una vocazione esistenzial-sentimentale”: la prevalenza dell’elemento femminile. Buona parte dei grandi esempi in materia, Il cielo può attendere (1943), L’inafferrabile signor Jordan (1941) e il suo remake del 1978 di e con Warren Beatty Il paradiso può attendere (1978), il sottovalutato Prossima fermata: paradiso (1991) e il capolavoro indiscusso, l’inglese Scala al paradiso (1946), raccontavano la condizione umana e la possibilità di un oltretomba appoggiandosi ai codici della commedia sentimentale, proprio come Eternity. Ma quei film, opere più mature e compiute e straordinarie del pur validissimo film di David Freyne, erano a trazione essenzialmente maschile, fatta eccezione per Prossima fermata: paradiso. Va detto che lì la star era Meryl Streep, e Meryl Streep è una forza superiore a un certo tipo di convenzioni maschiliste, e quindi è l’eccezione che conferma la regola (alla regia c’era anche uno straordinario autore-attore, Albert Brooks).
Eternity ha un gran rispetto per i suoi personaggi femminili. Vale per la confusione interiore e la dolce autoironia di Joan, e per la verve di una straordinaria co-protagonista, Da’Vine Joy Randolph; Anna è una creatura ultraterrena più umana degli umani. Ha rispetto, il film, anche di Callum Turner e Miles Teller, e soprattutto ne ha dell’alchimia tra i due. Anche se non sono il cuore del film, riescono a prestare la voce a due diversi modi di vivere il sentimento – l’amore totalizzante e quello più terreno e rassicurante – senza sacrificare la verità dei personaggi. Sono sempre credibili e umani, anche quando di umano intorno a loro c’è ben poco. Detto questo, Eternity non ha la forza, narrativa, strutturale, emotiva, per essere totalmente e ferocemente nuovo. I grandi film del genere che lo hanno preceduto lo influenzano e ne governano l’atmosfera, le dinamiche, le caratterizzazioni. Accettando di ridiscutere i rapporti di forza tra personaggi, Eternity trova comunque il modo di presentarsi al pubblico in veste di novità: è la nuova versione di una vecchia storia. Va bene lo stesso.
Eternity: valutazione e conclusione
Con la collaborazione del direttore della fotografia di Ruairí O’Brien e grazie a un’estetica in bilico tra futuro prossimo e suggestioni retrò, Eternity riesce a essere l’interessante mix di realismo e fantastico che David Freyne aveva in mente lavorando allo script con Pat Cunnane. Perché se lo sfondo è esuberante – non quanto potrebbe permettersi di esserlo, e questi limiti impercettibili di creatività si fanno un po’ sentire sul finale – il passo dei protagonisti, le dinamiche, il caos esistenziale e la confusione sentimentale sono molto realistici. Eternity è un film sobrio nel ritmo e sopra le righe negli sfondi. È grazie a questa frizione – un universo fantastico con dentro personaggi che si muovono come fossero nel mondo reale, all’inizio è un po’ difficile da digerire, ma la frustrazione dura poco – che il film riesce a parlarci dell’argomento più vecchio del mondo – come l’amore definisca ogni centimetro cubo della nostra esistenza – con una freschezza appagante e insospettabile.