Intervista a Fabio Massa: Aeffetto Domino “nasce dallo sguardo di un bambino”

Aeffetto domino è il secondo lavoro alla regia di un lungometraggio di Fabio Massa: trentenne campano poliedrico e coraggioso, prestato alla tv per prodotti cult quali Un posto al sole e la serie La squadra.

Fabio Massa: “Aeffetto domino nasce dallo sguardo di un bambino che ho conosciuto in Africa”

Aeffetto domino

Partiamo da te. Sei giovanissimo, eppure le partecipazioni sono state tante e tutte di rilievo: Esterno sera al fianco di Ricky Tognazzi, Rosa Funzeca di Aurelio Grimaldi. Come hai cominciato?

Io portavo le pizze (ride)…questa è la verità. Poi, per puro caso, un addetto casting mi dice solamente che stavano facendo un film su Napoli, un qualcosa di molto generico. Faccio il primo provino, poi ne faccio altri due e, nonostante fossi sempre stato convinto che nella vita mi interessava tutt’altro, scopro che invece quello che volevo fare nella vita era questo. 

Il cinema?

Sì, e ne sono davvero innamorato. Però poi ho compreso che bisogna studiare e impegnarsi, non avevo idea di cosa fosse realmente la recitazione, avere in mano un copione. 

Hai studiato sul set?

All’inizio. Poi ho frequentato diversi corsi e sul set ho iniziato a osservare molto i vari lavori sul set, non solo gli attori ma anche i tecnici, il regista.

Cosa pensi che sia cambiato in te e nel mondo artistico e umano che ti circonda da quando hai cominciato a oggi? 

In me è nata una fiammella chiamata determinazione, ovviamente alimentata da tanta passione. Il fatto è che se ti muovi come mi muovo io in questo contesto, ogni giorno è una sfida e quando si concretizza un progetto – anche piccolo – è sempre la realizzazione di un sogno. Sicuramente è cresciuta la curiosità e la voglia di sperimentare.

Da semplice interprete, ho sentito poi la voglia di scrivere, quasi come uno sfogo. Quando, dopo un po’ di tempo e tanti tanti tentativi, bozze, idee sparse, mi sono reso conto di avere qualcosa di interessante tra le mani mi sono chiesto come potevo fare, non avendo basi di conoscenza per la regia e la produzione. Il 2008 è stato l’anno decisivo per capire che era il momento di addentrarmi a 360° in questo settore.

Immagino ci sia voluto coraggio e intraprendenza. Ti sei creato da solo l’occasione giusta, su misura per te.

In un certo senso sì. Nel 2008 vengo coinvolto nel progetto di Io non ci casco, un film di Pasquale Falcone con Ornella Muti, Maria Grazia Cucinotta e Maurizio Casagrande. Il progetto era valido ma, per una serie di ragioni, stentava a decollare dal punto di vista produttivo. Entrando in simpatia ed empatia con Pasquale, mi rendo conto che era il momento di concretizzare e fondo Goccia film, una casa di produzione.

Oltre a Io non ci casco, mi metto alla prova con i cortometraggi. E la cosa funziona, poiché Luce nell’ombra – il mio primo corto – viene selezionato per una rassegna di short-film a Washington. Poi proseguo con diversi videoclip e cortometraggi, cercando di curare la confezione del prodotto a tutto tondo.

Dal punto di vista tematico quali sono gli argomenti che prediligi? In quale genere ti identifichi?

Prediligo la natura sociale di un prodotto, non solo come “autore” poiché è lo spirito che muove inizialmente me prima di guardare qualcosa. Mi piace riflettere dopo la visione e di conseguenza mi piace pensare che, un film fatto da me, possa essere per tutti un’occasione di riflessione. 

E la serialità? Hai lavorato sia in Un posto al sole, una serie cult, sia in La squadra mettendoti alla prova con un genere particolarmente impegnativo.

Un posto al sole è un cult per il pubblico, per chi ci lavora è una grande famiglia. Il mio personaggio è stato ripreso in diversi periodi e, devo dire, che la popolarità data dalla televisione, mi ha sorpreso molto. Mi piacerebbe, come attore, cimentarmi in qualcos’altro. 
Per La squadra è stato diverso, un esperienza breve con un ruolo cattivo. 

E come spettatore?

Fagocito tutto. Ma ho adorato Gomorra – La Serie 1 e 2. Una qualità indiscutibile.

Allora arriviamo ad Aeffetto domino. Frutto di un lavoro di grande preparazione, ma l’idea da dove viene?

Sono stato in Africa e ne ho subito una fascinazione incredibile. Un giorno, facendo amicizia con le guide turistiche del posto mi portano in una tribù dove faccio la conoscenza di un bambino. Questo bambino aveva degli occhi incredibili, mi aveva magnetizzato.

Pensavo non riuscisse a interagire perché non parlavamo la stessa lingua, poi mi viene detto che era sordomuto e che però, nonostante questo, riesce a guidare la tribù di notte quando c’era necessità di spostamento poiché conosce il deserto talmente bene al punto di sostituire l’anziano del gruppo in questo compito. Ho temuto che fosse uno di quegli aneddoti che ti raccontano per accattivarti mentre sei in viaggio, ma ho verificato che era vero. Il bambino del film ha il suo stesso nome: Kalid. 

Da qui hai pensato di scrivere una storia in cui il protagonista subisse la stessa sensazione anche se in modalità diverse. Fabio e Lorenzo si assomigliano?

Per questo aspetto sì. Io mi sono sentito diverso dopo quell’esperienza. Poi ho sviluppato la storia facendo in modo che per Lorenzo – il protagonista – si trattasse di una storia di scelte, incontri e scontri. Lorenzo ha la mia stessa determinazione, ad esempio. Ed è una persona ordinaria nella bellezza di essere ordinari, è un concetto che mi piace pensare anche riferito a me stesso. Poi, certo è che io sono cambiato grazie al viaggio, Lorenzo mediante la malattia.

La malattia è trattata in modo incredibilmente vitale. Qual è stata la chiave per raccontarla?

Quando sai che la vita non ti sta accarezzando, che purtroppo vai incontro a un determinato destino, come cambia il tuo modo di approcciarti ad essa? Ho cercato di dare una risposta ponendomi direttamente come portavoce della domanda. 

Però in Aeffetto domino sono mescolate anche altre tematiche cruciali.

Certo, l’omosessualità. Ma sai, ho provato a raccontare semplicemente una storia d’amore. Il film è stato girato un anno e mezzo fa e io non pensavo a un certo tipo di discorso sull’attualità, onestamente. 

Il cast si compone oltre che di Cristina Donadio, anche di Ivan Bacchi, Pietro De Silva e Mohammed Zouaiui. Come hai scelto il cast e la troupe?

La troupe tecnica è quella che mi porto dietro dalla produzione dei cortometraggi, dal 2008. C’è un ottimo clima familiare tra noi. La scelta degli attori è stata davvero naturale. Pietro De Silva è la migliore figura per rappresentare mio padre. Cristina me l’hanno segnalata, il film lo abbiamo girato prima che lei venisse impegnata sul set di Gomorra 2, ed è stata una scoperta incredibile, anche come persona. 

Poi ci sono Salvatore Cantalupo, che incontrai tempo fa e con cui feci una specie di promessa, che ho mantenuto pensando a lui per il ruolo di Massimiliano. Ivan e Mohammed sono bravissimi e generosissimi. Martina Liberti, che interpreta Teresa, è mia socia di produzione ed è una presenza imprescindibile.

Progetti futuri in cantiere? 

C’è l’uscita del film …e se mi comprassi una sedia? di Pasquale Falcone. Poi c’è un progetto che ho accantonato nel momento in cui mi è venuta l’idea per Aeffetto domino… ma ci lavorerò presto.