127 ore: recensione del film di Danny Boyle con James Franco

A due anni dal successo della spumeggiante favola in salsa indiana The Millionaire, Danny Boyle cambia totalmente tema e toni con 127 ore, dramma biografico del 2010 incentrato sulla vera storia di Aron Ralston, alpinista americano rimasto intrappolato per poco più di 5 giorni in una gola dello Utah a seguito della sfortunata caduta di un macigno. A impersonare lo sfortunato sportivo è un buon James Franco, che regge interamente il film sulle proprie spalle, guadagnando con la sua performance una delle sei totali nomination all’Oscar del film. 127 ore ha riscosso un discreto successo di pubblico, portando a casa più di 60 milioni di dollari in tutto il mondo, a fronte di un budget di circa 18.

127 ore

L’impavido alpinista Aron Ralston (James Franco) si cimenta in un’escursione solitaria nel Blue John Canyon in Utah, durante la quale trascorre anche alcune ore in piacevole compagnia di altre due escursioniste (Kate Mara e Amber Tamblyn) bisognose di aiuto. Sulla via del ritorno, Aron rimane vittima di un tragico incidente: l’improvvisa caduta di un masso gli blocca un braccio, tenendolo così immobilizzato in una stretta e sperduta gola. Per Aron comincia così una durissima lotta per la sopravvivenza, fra ricordi, sogni e visioni, con l’unica compagnia di una videocamera digitale a cui affida paure, pensieri e riflessioni. Gli serviranno 127 lunghissime ore per prendere la decisione che cambierà per sempre il corso della sua vita.

127 ore: il racconto del dolore e dell’agonia di un uomo solo contro la natura127 ore

Con 127 ore, Danny Boyle cerca ambiziosamente di mettere su pellicola la disperazione, il dolore e l’agonia di un essere umano isolato da tutto e tutti, con forze e speranze che progressivamente gli vengono meno. Un progetto certamente coraggioso, ma che si deve confrontare con una narrazione per forza di cose statica, che richiede necessariamente qualche artificio narrativo per essere ravvivata. Dal punto di vista tecnico, il regista inglese fa il suo meglio, supportando un convincente James Franco con un’ampia gamma di soluzioni registiche: montaggio in stile videoclip, split screen, videomessaggi in digitale, flashback, ardite soggettive e inserti onirici si alternano alla crescente disperazione del protagonista, bisognoso non solo di cibo e acqua, ma anche di un supporto morale e spirituale che lo aiuti a sopportare la sua tragica esperienza.

Un James Franco in grande spolvero si dimostra capace di reggere interamente sulle proprie spalle il peso della pellicola, rendendo alla perfezione il dolore e la progressiva perdita di lucidità del protagonista, che testimonia in maniera quasi grottesca quelle che lui ritiene essere le ultime ore della sua esistenza. A non convincere in 127 ore sono invece i numerosi flashback su famiglia e amori del protagonista, che, se da un lato aiutano a sviscerare il background del personaggio, dall’altro si rivelano poco più che un pretesto per allungare il brodo per stimolare inutilmente l’attenzione dello spettatore, già sufficientemente coinvolto dalla particolare e angosciante situazione in cui viene a trovarsi Ralston.

127 ore cela dietro a una pregevole confezione tecnica la propria povertà di contenuti

Le stranianti musiche di Allah Rakha Rahman (premio Oscar per il già citato The Millionaire), poco efficaci nella prima parte del film, guadagnano intensità con il passare dei minuti, esaltando un finale decisamente crudo e poco adatto agli stomaci deboli (che non riveliamo per non anticipare l’esito della storia ai pochi che ancora non lo conoscono), punto di forza di una pellicola meritevole dal punto di vista tecnico, ma in fin dei conti decisamente sterile e povera di contenuti. A rimanere nel cuore e nella mente, più che la vicenda umana del protagonista (didascalicamente riassunta nei titoli di coda), sono così le immagini ostentate e a volte ricattatorie di un calvario umano e quelle di una natura minacciosa e inospitale, che rapisce, imprigiona e restituisce alla vita un proprio figlio, indelebilmente segnato dall’esperienza, ma ancora inevitabilmente attratto da essa e dai suoi segreti.
127 ore

127 ore racconta in maniera non sempre convincente la resurrezione fisica e spirituale del protagonista, proiettando lo spettatore in un grottesco e crudele viaggio nelle cavità inesplorate della natura e della mente umana, dove il dolore, la disperazione e il terrore si fondono con il miraggio di una speranza e l’incrollabile istinto di conservazione degli esseri viventi. Una pellicola che pur nella sua incompiutezza di fondo conferma l’estrema poliedricità di Danny Boyle, capace di passare con sorprendente naturalezza dal racconto degli eccessi e della sregolatezza di Trainspotting alle atmosfere cupe e macabre di 28 giorni dopo e dal favolistico racconto di formazione di The Millionaire al dramma umano di 127 ore.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3
Emozione - 3.5

3.2