Venerdì 13: recensione del film di Sean S. Cunningham

Venerdì 13 è un film horror del 1980 diretto da Sean S. Cunningham, punto di riferimento del sottogenere slasher e capostipite di una lunga saga che a oggi conta 12 episodi fra sequel, spin-off e reboot. Si tratta della prima pellicola in cui appare, seppur brevemente, il celebre killer Jason Voorhees, che grazie ai successivi episodi della serie è diventato una vera e propria icona del cinema horror. A dispetto di un budget risicato, Venerdì 13 ha ottenuto un clamoroso successo nei botteghini di tutto il mondo, portando a casa circa 60 milioni di dollari dell’epoca.

Gran parte del merito dell’affermazione del film è da ricercare in una formula semplice, ma tremendamente efficace e di grande presa sul pubblico, consistente essenzialmente nella progressiva eliminazione di tutti i componenti del gruppo dei protagonisti a opera di un misterioso assassino, di cui viene rivelata l’identità solo nella battute finali. Una formula che in seguito verrà usata e abusata da innumerevoli pellicole del genere, esaltata dalla maestria negli effetti speciali di Tom Savini, autore di alcuni trucchi artigianali ma ancora oggi di notevole effetto scenico.

Venerdì 13: un caposaldo dello slasher e un’astuta messa in scena della violenza e della follia insita nell’animo umano

Dopo un breve flashback ambientato nel 1958, che attraverso un brutale omicidio di due ragazzi ci mette in guardia sulla pericolosità del Camp Crystal Lake, veniamo catapultati nel 1980, quando un gruppo di agiati adolescenti si reca nel medesimo campeggio per qualche giorno di avventura e di brivido. Con l’omicidio di una ragazza che si stava recando sul posto in cerca di un lavoro come cuoca, comincia una lunga serie di efferati omicidi a opera di un misterioso assassino che progressivamente elimina tutti i protagonisti, fra cui si nota un giovane Kevin Bacon. Solo il finale di Venerdì 13 svelerà l’inquietante e tragica verità all’origine di questa scia di sangue e violenza.

Venerdì 13 segue la scia di Carpenter mantenendo originalità e una propria coerenza interna

Venerdì 13 mostra fin dai primi minuti un evidente debito di riconoscenza e ispirazione con il precedente e seminale Halloween di John Carpenter, dal quale riprende atmosfere e la figura di un misterioso killer dal torbido passato. Sean S. Cunningham si discosta però dal capolavoro di Carpenter, che intraprende la strada della suggestione e della tensione narrativa puntando fortissimo anche su eccezionali musiche, scegliendo di rimanere saldamente ancorato all’horror e in particolare allo slasher, sottogenere che anche grazie al successo di Venerdì 13 vivrà un periodo di grande proliferazione a cavallo fra gli anni ’80 e ’90.

In Venerdì 13 sono presenti molte delle situazioni tipiche del genere, che viste con l’ottica odierna appiaono inevitabilmente datate e ingenue, ma che all’epoca erano ancora relativamente fresche e originali: l’ambientazione in un’abitazione isolata e lontana dalla città, un gruppo di protagonisti adolescenti spavaldi e in cerca di forti emozioni, il folle del villaggio che (inascoltato) avvisa del pericolo, la forte componente splatter durante omicidi particolarmente violenti e spettacolari.

Il finale di Venerdì 13 introduce l’iconico personaggio di Jason Voorhees

Venerdì 13 non si limita alla spettacolarizzazione della violenza e alla facile presa su un pubblico facilmente impressionabile, ma porta anche avanti con notevole coerenza interna un rapporto madre-figlio interessante e complesso, che deflagra nel finale e che purtroppo nei numerosi seguiti non sarà mai replicato con tale efficacia. Tutti i reparti tecnici, nonostante le ristrettezze economiche, si dimostrano ampiamente all’altezza, dalla buona regia di Cunningham al già citato eccellente lavoro di Tom Savini, passando per le musiche di Harry Manfredini e il funzionale cast, in cui si distinguono soprattutto le due protagoniste Betsy Palmer e Adrienne King. Ciliegina sulla torta un finale particolarmente riuscito e dal grande impatto emotivo, che omaggia quello dell’ottimo Carrie – Lo sguardo di Satana di Brian De Palma e ha il merito di introdurre il personaggio di Jason Voorhees, vero protagonista dei successivi film della saga.

Un caposaldo dello slasher amato dal pubblico ma non dalla critica

A dispetto dell’evoluzione dei costumi e dei gusti, Venerdì 13 a più di 35 anni dalla sua uscita si dimostra ancora un film valido e decisamente solido, meritevole esponente di un sottogenere come quello dello slasher, che in seguito troppo spesso si è limitato a ricalcarne risvolti ed espedienti narrativi senza un briciolo di originalità e inventiva. Un risultato considerevole per una pellicola che all’epoca dell’uscita fu amata dal pubblico ma stroncata da una larga parte della critica.

Fra i detrattori di Venerdì 13 segnaliamo i giurati della prima edizione dei simpatici Razzie Awards, conosciuti come gli Oscar al contrario, che conferirono alla pellicola di Cunningham ben due nomination, per il peggior film e per la peggiore attrice non protagonista Betsy Palmer, “onore” tributato nella medesima edizione anche a un capolavoro assoluto dell’horror e del cinema tutto come Shining. Per fortuna il tempo con Venerdì 13 è stato più clemente dei giurati dei Razzie, e oggi possiamo apprezzare e rivedere con ammirazione e simpatia una pellicola che nel suo genere ha fatto epoca e si è ormai ritagliata un pezzo di storia.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 3.5
Fotografia - 3.5
Recitazione - 3.5
Sonoro - 3.5
Emozione - 3.5

3.5