Marguerite e Julien – La leggenda degli amanti impossibili: recensione del film di Valérie Donzelli

Marguerite e Julien sono speciali. Entrambi figli del signore di Tourlaville, quindi fratello e sorella, sin da piccoli condividono l’uno con l’altra ogni frazione di tempo libero: si amano teneramente, a tal punto che la famiglia comincia a nutrire dubbi riguardo l’appropriatezza del loro comportamento. Inoltre, il loro sentimento potrebbe minare il futuro di Julien, che viene tempestivamente allontanato dall’adorata sorella. Quando, qualche anno dopo, Marguerite e Julien si rivedranno, tra i due scoppierà un amore ben diverso da quello che li univa da bambini. I due fratelli riscopriranno un sentimento che sfocerà in una passione irrefrenabile, scandalosa e pericolosa, soprattutto per loro stessi.

Marguerite e Julien

Al suo quarto lungometraggio, la regista francese Valérie Donzelli decide di rispolverare una vecchia sceneggiatura di Jean Gruault e originariamente destinata a essere portata sullo schermo da François Truffaut, che con Gruault aveva già firmato capolavori del calibro di Jules et Jim, Le due inglesi, Il ragazzo selvaggio e Adéle H., oltre ad aver collaborato con numerosi altri esponenti della Nouvelle Vague. La Donzelli rimaneggia il testo di Marguerite et Julien a quattro mani con il suo sceneggiatore e amico di sempre, Jérémie Elkaïm (che qui veste anche i panni del protagonista Julien): ma l’idea generale è che, forse, quel rifiuto di Truffaut significasse qualcosa, e che di questo adattamento si potesse francamente fare a meno. Distanziandosi nettamente dalla corrente semi-autobiografica intrapresa con il precedente La guerra è dichiarata, la regista narra l’amore impossibile che si dirama in due vie parallele: da una parte, l’amore incestuoso fra due fratelli; dall’altra, lo scandalo dell’amore adultero fra una donna sposata (che, in aggiunta, si rifiuta categoricamente di concedersi al proprio marito) e un altro uomo. Insomma, Donzelli attinge a piene mani dalla sterminata vastità di temi che la concezione filosofico-letteraria dell’amor cortese offre, da secoli, sia alla letteratura stessa che al cinema, prediligendo in particolar modo il ricchissimo filone dell’amore adultero, che nel ciclo arturiano risplende al massimo del proprio vigore. Tuttavia, pur riproponendo tutti gli archetipi della fiaba cavalleresca tipica – il sentimento che trova la propria purezza solo nella passione impetuosa, la repressione della società ai danni della donna, il desiderio di fuga e di libertàMarguerite e Julien, che pure ricordano i più celebri Lancillotto e Ginevra, si correda di prestiti da diverse ere, forse con l’intento di comunicare che l’amore impossibile è solo una ripetizione di quello che può avere luogo in ogni circostanza, in ogni epoca e in ogni luogo. Così, ecco che vediamo un’automobile appostata nei pressi del castello secentesco di Tourlaville, ed ecco che, subito dopo, la fanciulla viene vestita di costumi dell’Ottocento e di maglioni; nel suo dormitorio si può scorgere una lampada a olio e, allo stesso tempo, un copriletto trapuntato a grandi pois. Non fa differenza il comparto musicale, che spazia da musiche antiche a brani contemporanei (le cui note vengono suonate persino alla radio). Difficile, se non impossibile, non pensare alla Sofia Coppola di Marie Antoinette, che con sagace maestria era riuscita a diluire elementi audiovisivi pop negli sfarzosi scenari barocchi della corte di Versailles senza appesantirne l’effetto visivo e rendendolo, anzi, dinamico in maniera del tutto naturale.

Marguerite e Julien

Purtroppo, la ricerca ad ogni costo di un aspetto minimale – complice la fotografia realizzata da Céline Bozon e le scenografie ad opera di Manu de Chauvigny – appare indubbiamente forzata e stride con l’argomento affrontato, in cui gli impulsi più puri dovrebbero far da padroni. Forse la regista avrebbe voluto conferire un appeal teatrale alla sua opera, ma sembra confondere il teatro con il fittizio, mettendo in scena una vicenda impoverita, usufruendo solo della parte fisica e incatenandosi intenzionalmente a quegli stessi limiti materiali oltre i quali il teatro ha sempre guardato: la sua storia d’amore è tutto fuorché travolgente, passionale, capace di stabilire empatia o sincero coinvolgimento emotivo con lo spettatore al di là dello schermo. Il paragone con l’intuitiva regista statunitense, di conseguenza, va sicuramente a svantaggio della Donzelli, che predilige la forma al contenuto ma finisce col perdere d’occhio il suo stesso esperimento (più azzardato della fuga romantica di due reietti), e fa sconfinare Marguerite e Julien in un trash indigeribile e senza fine.

Distribuito da Officine Ubu, sarà al cinema dall’1 giugno 2016.

Regia - 2.5
Sceneggiatura - 2
Fotografia - 2.5
Recitazione - 2
Sonoro - 2.5
Emozione - 2

2.3