Gangster story: recensione

Gangster story (Bonnie and Clyde) è un film di Arthur Penn, uscito in America alla vigilia del ’68. E’ ispirato alle movimentatissime vicende di Bonnie Parker e Clyde Barrow, fuorilegge famosi per le loro gesta negli Anni Trenta. Provocò grandi reazioni perché era un film vero su una coppia di giovani travolta ed inghiottita dai vortici della criminalità, anche se aveva poco a che fare con la verità dei gangster realmente esistiti. Penn e Warren Beatty, protagonista e produttore del film, che arrivò a pregare in ginocchio Jack Warner pur di ottenere i suoi finanziamenti, fissarono un nuovo modello del noir distaccandosi dal passato con un netto taglio estetico. La differenza che fa di Gangster Story il capostipite del nuovo cinema di genere, donandogli nuova linfa, è l’uso consapevole dei mezzi cinematografici (fotografia, montaggio, recitazione) per ottenere un coinvolgimento dello spettatore senza richiami illusionistici al contesto criminale ma con la percezione dei mezzi di comunicazione più popolari sul carattere, il temperamento e il destino dei personaggi. Sceneggiato da David Newman, Robert Benton (i quali avevano pensato per la regia prima a Truffaut e poi a Godard, ma entrambi rifiutarono) e Robert Towne, narra una storia d’amore nata dalla violenza trasgressiva e la racconta con ritmi frenetici, secondo un punto di vista rivoluzionario in anticipo sulla filosofia “on the road”. Tra cinema classico e cinema moderno, il montaggio disgrega inaspettatamente le sequenze con primi piani improvvisi.

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Un primo piano di Faye Dunaway

È chiaro il riferimento al cinema autoriale della Nouvelle Vague francese e alle tecniche di grande impatto visivo, gli scatenati ritmi di ripresa negli inseguimenti in automobile sulle strade sterrate, i vari cambi di angolazione della mdp, l’uso rivoluzionario del ralenti e l’impasto cromatico profondo e intenso (il film vinse l’Oscar per la migliore fotografia).

 Anni ’30, Dallas, Bonnie Parker (Faye Dunaway) ci viene presentata da dettagli del volto: la bocca, poi lo sguardo, il volto in primissimo piano, immagini tipiche del cinema autoriale francese.

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Faye Dunaway/Bonnie Parker

 

Negli agitati anni della Grande Depressione, Bonnie è una giovane donna annoiata, fa la cameriera e conduce una vita che le sta troppo stretta. Dopo l’incontro con l’affascinante e misterioso Clyde Barrow (Warren Beatty) appena uscito di prigione, decide di seguirlo nella sua vita ribelle “on the road” e di condividere con lui un’esistenza da fuorilegge.

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Warren Beatty/Clyde Barrow

 

Tra rapine a mano armata e inseguimenti su splendide macchine rubate accompagnate da una colonna sonora country, i due iniziano la storia d’amore maledetta che ha incantato l’America, diventando la coppia di rapinatori più micidiale e celebre al mondo .

“Non è giusto che le banche freghino ai contadini. Difenederò quei poveretti: le banche rubano la terra e io gli ripulisco la cassa. Sei d’accordo?”

Decidono di reclutare il giovane e stordito meccanico Clarence W. Moss (Michael J. Pollard) come autista. La polizia si mette sulle loro tracce inseguendo la scia di sangue e di morti tragiche che si lasciano alle spalle. Dopo il primo omicidio le loro azioni si trasformano in veri e propri atti criminali che presto li resero famosi in tutto il Paese.

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Gene Hackman Estelle Parsons in una scena del film

Ai tre si uniscono il fratello di Clyde Buck Barrow ( Gene Hackman) e sua moglie Bianca (Estelle Parsons, premio Oscar come attrice non protagonista). Braccata dalla polizia la banda riesce sempre a fuggire, in un’escalation di colpi in vari Stati, dal Texas, al Missouri, all’Oklahoma, all’Iowa, alla Louisiana.

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una scena del film

Il loro viaggio, tra gli splendidi paesaggi delle campagne americane, continua incessante fino a quando viene interrotto nell’ultima tappa. Dopo che lo sceriffo Frank Hamer (Denver Pyle) viene umiliato dalla banda Barrow, non si da pace fino a che non riesce a raggiungerli. La banda riesce a sottrarsi alla polizia di diversi Stati in varie occasioni, ma Buck viene ucciso, colpito a morte da un colpo di pistola, e Bianca, ferita agli occhi dai frammenti di vetro dispersi durante il conflitto a fuoco, viene arrestata e fornisce importanti indizi sulla fuga dei superstiti. I tre si rifugiano nella casa del padre di Clarence. Il vecchio denuncia la coppia di criminali e lo sceriffo tende loro una trappola. In una automobile lungo una stradina sterrata di campagna Bonnie e Clyde vengono crivellati da una scarica di oltre mille colpi di arma da fuoco. Una morte preannunciata, inaudita e sconvolgente, asettica e distaccata, cala il sipario sulla loro mirabile tragedia.

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la memorabile scena finale

 Una fine che non ci appare punitiva come nei più classici film di gangster ma come una vera e propria esecuzione, tanto attesa quanto cruenta. La scena devastante della morte dei due personaggi è entrata prepotentemente nella storia del cinema, esaltata dalla tecnica del ralenti che nasce proprio con questo film e verrà molto utilizzata da Sam Peckinpah che la renderà sempre più comune.

E’ dalla nascita del cinema che in America viene dedicata grande attenzione alle figure dei criminali, banditi e gangster, ne è l’esempio uno dei primi film della storia del cinema, “The great train robbery” del 1903, di Edwin S. Porter. Un genere prolifico che ha sempre testimoniato il rapporto profondo degli Stati Uniti con la propria cultura e la propria storia, fino agli anni’50. Gangster Story ha un nuovo impatto, introduce un film ad alto costo nel genere e lo sdogana nel dibattito critico proponendo al pubblico non solo i conflitti partiti da quartieri malfamati ma l’intero ambiente sociale in cui agiscono i malviventi ed il materiale ricchissimo della loro condizione umana e psichica, lo mostra tentando una spiegazione reale e non sentimentale.

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Bonnie

Non è solo il ritratto della celebre coppia di criminali, è anche un manifesto di modernità autoriale nella Hollywood degli anni ’60, con tecniche rivoluzionarie e performance recitative di maggior spessore. Penn mantiene caratteristiche della Nouvelle Vague adattandole ad un genere fatto di protagonisti senza scrupoli, freddi e rozzi; qui, al contrario, i protagonisti sono belli, affascinanti e umani. I due giovani “scelgono” di dedicarsi al crimine, Bonnie per sfuggire l’ambiente stantio e monotono in cui vive e Clyde per una rivincita personale e sociale alle mancanze in cui la grave crisi economica ha gettato la sua famiglia. Eroi postmoderni che portano per la prima volta a Hollywood quel tipo di violenza aprendo una porta che da allora non si è più chiusa. La macchina da presa di Penn è anarchica, si muove in modo febbrile e rivoluzionario nella tradizione del gangster movie offrendo immagini nuove ed appassionanti, innestate sulla rottura inquietante e definitiva del codice Hays e verso un’inedita grandezza cinematografica nella ricreazione di un’epoca.

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la banda Barrow

La critica accolse in maniera negativa il film, che ebbe un enorme successo di pubblico. E’ indubbio che ha dato una svolta al cinema contemporaneo, costituendosi come nucleo di riferimento dei cineasti di tutto il mondo.

Il mio film non vuole avere alcun carattere documentaristico. Volevo fare un film romantico, perciò l’abbiamo girato a colori. Volevo girare un film moderno con fatti del passato. L’azione si riferisce ad un periodo preciso della storia degli Stati Uniti. Volevo collegarmi alla situazione economica. È la spiegazione più logica che si possa dare di Bonnie e Clyde: era ciò che succedeva dal punto di vista economico in quel periodo in quel paese […]. Era una specie di omaggio a John Ford, pensavo a Furore” (Arthur Penn “Non faccio l’avvocato della violenza”)

Regia: Arthur Penn; produzione: Warren Beatty per Tatira/Hiller; sceneggiatura: David Newman, Robert Benton, Robert Towne; fotografia: Burnett Guffey; montaggio: Dede Allen; scenografia: Dean Tavoularis; costumi: Thea Van Runkle; musica: Charles Strouse.
Interpreti e personaggi: Warren Beatty (Clyde Barrow), Faye Dunaway (Bonnie Parker), Michael J. Pollard (Clarence W. Moss), Gene Hackman (Buck Barrow), Estelle Parsons (Blanche Barrow), Denver Pyle (sceriffo Frank Hamer), Dub Taylor (Ivan Moss), Evans Evans (Velma Davis), James Stiver (padrone della drogheria), Gene Wilder (Eugene Grizzard, l’ostaggio), Morgan Fairchild (stunt per Faye Dunaway).

Giudizio cinematographe

Regia - 5
Sceneggiatura - 5
Fotografia - 5
Recitazione - 5
Sonoro - 4.2
Emozione - 5

4.9

voto finale