Mine: intervista video ai registi Fabio Guaglione e Fabio Resinaro

Al cinema Odeon di Milano abbiamo incontrato Fabio Guaglione e Fabio Resinaro, registi di Mine. Il film uscirà nelle sale italiane il 6 ottobre distribuito da Eagle Pictures. Di seguito la nostra intervista in occasione della proiezione stampa de film.

Pensate che il vostro lavoro rientri nella categoria del nuovo cinema italiano di genere?

Fabio Guaglione: ci piace realizzare film di genere perché lo consideriamo un linguaggio che arriva al pubblico. Ma utilizziamo questo linguaggio riempiendolo di verità, cerchiamo di esprimere le nostre idee attraverso il genere. Come avviene nei film di Marinetti e di Rovere, perché onesti e sentiti. Penso che sia interessante che ci sia una generazione di autori, quelli degli anni Ottanta, che si rivolga allo spettatore con dei film che piacciono al pubblico ma che non scimmiottano quelli d’oltreoceano.

Avete avuto modo di lavorare col produttore Peter Safran, produttore di Buried – Sepolto e The counjuring. Come avete lavorato con un produttore del suo calibro? Quali sono state le difficoltà?

Guglione: Peter si è interessato a Mine perché, da americano, cerca sempre un’idea che gli altri non hanno avuto, ma che allo stesso tempo racchiuda un potenziale di marketing: la storia di un uomo su una mina rimanda subito a delle sensazioni precise. Quando gli abbiamo raccontato l’idea del film, lui ha detto che avrebbe funzionato e di sviluppare l’idea. Abbiamo iniziato a scrivere la sceneggiatura, che ci ha preso molto tempo perché volevamo raccontare una bella storia. Abbiamo scritto diverse stesure, sia per noi che per loro. L’abbiamo revisionato fino a quando secondo Peter la sceneggiatura era pronta per essere condivisa con le agenzie degli attori per cercare il nome di colui che avrebbe interpretato il nostro soldato.

Mine: “Il nostro rapporto con Peter Safran è stato atipico”

Il nostro rapporto con Peter è stato atipico, perché lui è un produttore indipendente. Abbiamo avuto un certo grado di libertà. Ha supervisionato le diverse fasi del progetto ma ci ha lasciato liberi, soprattutto nella fase di riprese. E poi ci è stato un lungo lavoro sulla fase di montaggio perché era necessario trovare gli equilibri tra la nostra visione, la sua e quella dei distributori.

 

Mine è un film che parla di blocchi psicologici e fisici. Qual è stato il vostro stallo più profondo nella realizzazione del film?

Resinaro: Mine è anche una metafora del momento in cui ci trovavamo quando abbiamo avuto questa idea e abbiamo iniziato a scriverla. Avevamo vinto con il nostro cortometraggio Afterville, e questo ci ha permesso di conoscere Peter Safran e altri produttori degli Stati Uniti. La 20th Century Fox aveva iniziato a sviluppare un’idea di lungometraggio basato sul nostro corto. Ma eravamo bloccati. Afterville è ambientato a Torino e racconta di una realtà futura in cui sono arrivati giganteschi dischi volanti. C’è un conto alla rovescia che dura 50 anni e la storia si concentra nell’ultimo anno di suspance. Ma il progetto è in stallo.

 La sceneggiatura ha subito dei cambiamenti in corso d’opera?

Guaglione: Ci sono state tre fasi di uccisione di scene. La prima fase è stata quella che ha portato alla sceneggiatura che convinceva tutti, e in questa fase c’erano molte più visioni. La seconda è avvenuta durante la pre-produzione, quando dovevamo far fronte alle esigenze economiche. Infine molte cose sono state tolte in fase di montaggio (altre visioni, una sotto trama più chiara della proposta di matrimonio che si vede nel film, e la parte survival era molto più lunga).

Mine

Armie Hammer in una scena del film

Mine: Perché in Italia non è stato investito in questo progetto?

Avete trovato i soldi all’estero. Lavorando in un mercato come il nostro, ritenete che ci sia erogazione di denaro non del tutto “consono”? Perché in Italia non è stato investito in progetti come il vostro? Avete provato a venderlo qui?

Negli ultimi 2-3 anni qualcosa sta cambiano e si sta creando maggiore dialogo con le varie realtà, che siano realtà di distribuzione o produzione. Infatti il film ha ottenuto anche il riconoscimento statale del MiBACT. Forse qualche anno fa c’era meno convinzione riguardo questo genere di progetti. Speriamo che esempi come Lo chiamavano Jeeg Robot o Gomorra possano cambiare le cose.

Torniamo indietro nel tempo: eravate amici e compagni di liceo. Come avete iniziato e come siete arrivati a lavorare su un film internazionale come Mine?

Guaglione: Noi ci siamo conosciuti perché frequentavamo la stesa classe di liceo scientifico. E con noi c’era anche il ragazzo che adesso ci aiuta nella realizzazione delle colonne sonore, Andrea Bonini. Finito il liceo siamo andati a curiosare tra le scuole che avremmo dovuto intraprendere per la nostra passione e abbiamo notato che tutte proponevano un cortometraggio alla fine dei 3 anni di studi. Noi abbiamo iniziato direttamente da quest’ultimo. Abbiamo iniziato a farci le ossa con cortometraggi, pubblicità, video musicali (Subsonica, Biagio Antonacci). Ma volevamo fare dei film, quindi abbiamo frequentato dei festival e abbiamo iniziato a creare una rete di collegamenti.

Resinaro: Noi non volevamo costruire a tutti i costi una carriera da registi ma volevamo raccontare le nostre storie. Tutto è nato dopo aver visto Matrix, che è quasi un vero e proprio rito di passaggio. Hanno usato un genere, l’hanno mescolato ad altri generi e hanno aggiunto riflessioni psicologiche. Questo ci ha fatto scattare qualcosa. Abbiamo pensato che forse era possibile fare una cosa del genere.

Mine: Una delle chiave di lettura del film rimanda alla favola di Pinocchio

Guaglione: Mine nasconde il concetto di una fiaba alchemica, di un viaggio iniziatico. Il percorso di Mike è il risveglio della propria coscienza, che è quello che accade a Pinocchio. Mentre lavoravamo al film, ci siamo accorti di altre analogie: il nostro protagonista è un burattino, un soldato che esegue gli ordini; quando punta il suo fucile è come se Pinocchio allungasse il naso; Tommy è il grillo parlante, è la voce della razionalità. Inoltre è presente la fata turchina, il gatto e la volpe, ovvero il berbero e la figlia. Abbiamo la discesa nel ventre della balena, ovvero quando la casa si prende Mike e lo riporta da suo padre. Mine attinge agli archetipi di quel genere preciso di racconto. È come se fosse Pinocchio sulla mina.