Anime nere: recensione del film di Francesco Munzi

Anime nere è un film di Francesco Munzi del 2014, presentato in concorso alla 71ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia e vincitore di ben 9 David di Donatello, fra cui quelli per il miglior film e per la migliore regia. I protagonisti della pellicola, Fabrizio Ferracane, Peppino Mazzotta, Marco Leonardi e Giuseppe Fumo, interpretano una storia cupa e tragica di intrecci familiari e malavita organizzata, ambientata in Aspromonte e parlata perlopiù in dialetto calabrese.

Anime nere

Luigi (Marco Leonardi), Rocco (Peppino Mazzotta) e Luciano (Fabrizio Ferracane) sono tre fratelli di origini calabresi, le cui vite hanno preso strade diverse e ben distinte tra loro. I primi due hanno seguito la strada della malavita e della criminalità, arricchendosi rispettivamente con il traffico di droga e con illeciti immobiliari. Luciano invece ha scelto la stessa strada del padre, ovvero una tranquilla e pacifica vita agricola, prendendo le distanze dalle attività dei fratelli. Il figlio di quest’ultimo Leo (Giuseppe Fumo) è però un ragazzo inquieto e turbolento, cresciuto col mito dello zio Luigi e intenzionato a seguirne le poco raccomandabili orme. Sarà proprio Leo, con un’inutile e insensata ragazzata, a innescare una serie di litigi e vendette che segnerà per sempre la sua famiglia.

Anime nere: una storia di malavita cruda, vera e fastidiosa

Anime nere

Da Romanzo Criminale a Suburra, passando per Gomorra, il cinema italiano negli ultimi anni ha spesso cercato di raccontare con realismo e crudezza le miserie e le contraddizioni di tutte le declinazioni della malavita nostrana. A inserirsi discretamente in questo filone è  Anime nere, che colpisce la testa e lo stomaco e con una storia cruda, vera e fastidiosa, senza mai cedere alla tentazione di spettacolarizzare oltre il dovuto il racconto. Il regista Francesco Munzi trasporta lo spettatore fra le macerie di una famiglia e della società, tessendo con calma e misurata lentezza una tela fatta di onore, tradimento, vendetta e sangue, che tiene con il fiato sospeso lo spettatore fino alla fine, per poi esplodere in un finale amaro e decisamente indimenticabile.

Anime nere ci mostra con crudele realismo una parte d’Italia che troppo spesso facciamo finta di non conoscere e di non vedere, ma che invece è ancora fortemente radicata nel nostro tessuto sociale. In questo piccolo paesino dell’Aspromonte, che potrebbe essere un qualsiasi paese tenuto in scacco dalla malavita organizzata, la vita e la collettività sono dominate ancora da regole anacronistiche e tribali, che obbligano chiunque a scegliere la fazione per cui schierarsi in una feroce e infinita lotta fra clan. In un simile contesto, l’unica via per astenersi da qualsiasi conflitto è quella di Luciano, che alle rivalse, alle intimidazioni e alle sparatorie preferisce una vita bucolica fatta di campi e animali da allevamento, ma ben consapevole di ciò che gli si muove intorno. Ma è davvero possibile sfuggire per sempre alle proprie radici e alla propria famiglia?

Anime nere racconta con sincerità e amarezza una storia di uomini e di famiglia

Anime nere rinuncia a ogni fronzolo e a ogni artificio narrativo, raccontando con sincerità e amarezza una storia di uomini e di famiglia, ma anche un triste spaccato di una parte della nostra società, incapace di lasciarsi alle spalle un meccanismo marcio e perverso che corrode ogni cosa con cui viene a contatto. In un incessante susseguirsi di violenza e vendetta, a emergere sono allora l’ineluttabilità del proprio destino e l’impossibilità di arrestare un’assurda spirale autodistruttiva, ben simboleggiate da un nucleo familiare apparentemente normale, ma che in realtà cela al suo interno una lotta intestina fra impulsività e raziocinio, tradizione e progresso, onore e perdono.

Francesco Munzi centra l’obiettivo di raccontare i meccanismi alla base della criminalità organizzata con una regia asciutta e dal taglio documentaristico, ma anche con un ottimo lavoro in fase di sceneggiatura, che scava in profondità nella mente di personaggi complessi e ricchi di sfaccettature, ben compensando qualche piccolo calo di ritmo con qualche prevedibile ma ben assestato colpo di scena, e un incalzante finale che chiude perfettamente il cerchio della storia. Su tutto domina un Aspromonte mai così cupo e opprimente, che osserva e accompagna i protagonisti diventando un vero e proprio personaggio del film.

Fra il gangster movie e il noir, fra il dramma familiare e la tragedia greca

Ottime le prove da parte di tutto il cast, fra cui distinguono Peppino Mazzotta e Fabrizio Ferracane, che danno corpo e volto ai due personaggi più riusciti della pellicola, nonchè due facce della stessa dolorosa e avvilente medaglia. Decisamente degno di nota anche il lavoro di Giuliano Taviani, premiato con il David di Donatello sia per l’avvolgente colonna sonora sia come autore della canzone originale che dà il titolo al film.

Anime nere

Fra il gangster movie e il noir, fra il dramma familiare e la tragedia greca, Anime nere si muove in strade già ampiamente battute, ma lasciando il segno per il crudo realismo con cui affronta un tema spinoso come la malavita italiana. Fra gli scheletri di palazzi costruiti con il sudore e il sangue di lavoratori clandestini e sottopagati, gli affetti comprati con regali dalla dubbia provenienza e le piccole e grandi ripicche e vendette insite nelle piccole comunità, scorgiamo così tutti i vizi, le incoerenze e le ingiustizie della nostra società, trovandoci così di fronte a una realtà inaccettabile ma anche difficilmente migliorabile, che Francesco Munzi fotografa in uno dei migliori film italiani dell’ultimo decennio.

Regia - 3.5
Sceneggiatura - 4
Fotografia - 4
Recitazione - 4
Sonoro - 3.5
Emozione - 4

3.8