Ben-Hur: recensione del remake di Timur Bekmambetov

Era il 1959 quando William Wyler firmava uno dei più grandi capolavori della storia del cinema: Ben-Hur con protagonista l’indimenticabile Charlton Heston. Il film fu presentato fuori concorso al Festival di Cannes del 1960 e vinse ben 11 Oscar mantenendo questo record solitario per oltre 38 anni, battuto solamente da Titanic nel 1997 e da Il Signore degli Anelli – Il ritorno del re del 2003. Quello che ha sempre colpito delle numerose trasposizioni cinematografiche del romanzo di Lew Wallace (ben 5) è la contaminatio generis, che viene evocata, ogni qual volta il romanzo stesso si presta a essere re-inventato a livello filmico.

La storia di questo Ben-Hur non ha la stessa poesia e lo stesso vigore artistico sul quale era basato il più degno predecessore

Dal genere storico di partenza si sfocia audacemente nel drammatico fino a arrivare a un adrenalinico punto action con l’ormai celeberrima corsa con le bighe. Se il film però di Wyler rappresenta uno dei punti più alti del cinema degli ultimi 100 anni non possiamo dire lo stesso di Ben-Hur di Timur Bekmambetov.

Lo stilo e il pragmatismo registico del primo film non possono non essere tirati in causa quando si va ad analizzare quello che è a tutti gli effetti un remake in piena regola di un dei grandi classici del cinema. Già di per se è arduo reinventare (perché di tale pratica si parla in un remake) un film che ha segnato la storia, aggiungiamo al tutto che Charlton Heston è uno dei mostri sacri della Hollywood classica e anche qui non si può non scendere a paragoni con l’interpretazione odierna di Jack Houston.

Va dato atto della perfezione degli effetti speciali, unica nota positiva del film

Ben-Hur

La storia di questo Ben-Hur non ha la stessa poesia e lo stesso vigore artistico sul quale era basato il più degno predecessore. Se il film del 1959 rappresentava una possibilità per il salvataggio dalla bancarotta per la Metro-Goldwyn-Mayer, questo film, nato per puro scopo ripropositivo, non incide e non si attacca sulla pelle dello spettatore. La veemenza e la possanza artistica di certe indimenticabili scene del primo film non sono degnamente riadattate nella pellicola di Timur Bekmambetov. Chiaramente non possiamo negare la perfezione tecnica della battaglia con le galee e della corsa con le bighe, ma spesso nella vita un qualcosa ha più valore quando è intaccata dal tempo, la sua innaturale riedizione non finisce altro che turbare gli animi e le menti di chi si è adagiato nella culla del tempo.

La sceneggiatura originale del film ha subito notevoli cambiamenti, la stessa durata del film è decisamente inferiore rispetto al predecessore. Molti dialoghi sono stati semplificati all’inverosimile, la storia è stata cambiata in diversi punti e il riadattamento ha provocato dei buchi a livello di trama quasi spaventosi. La semplificazione generale apportata da Timur Bekmambetov risulta quasi banale e il film, anche non paragonata al precedessore, risulta scarno ed eccessivamente molle.

C’è poco di kolossal in questo Ben-Hur, la stessa fotografia è eccessivamente luminosa a tratti patinata di un lucido irreale

Ben-Hur

Giuda Ben-Hur è figlio di una famiglia aristocratica di Gerusalemme, molto affezionato al fratello adottivo Messalla. Durante il periodo della dominazione romana in Galilea, gli Zeloti, un gruppo di anarchici insurrezionalisti locali, attentano spesso alla vita dei soldati romani rivendicando la patria potestà del territorio natio. Durante un attentato Giuda viene ingiustamente accusato di tradimento verso Roma e condannato dallo stesso fratello Messalla, entrato a far parte dell’esercito romano, a perire nelle galee romane. Dopo la grande battaglia nel Mar Ionio, Giuda riesce a sopravvivere e grazie all’aiuto di Ilderim (Morgan Freeman), uno sceicco africano, saprà sfidare in una corsa con le bighe il suo più grande nemico e traditore, Messalla. La sfida finale si tramuta in una battaglia per la vita dove Ben-Hur dovrà far tesoro degli insegnamenti impartitegli da Ilderim nell’uso della biga.

Ben-Hur di Timur Bekmambetov era davvero un film necessario?

La resa scenica poteva essere decisamente migliore, alcuni costumi sono quasi anacronistici e le insistenti panoramiche volute dal regista puntano molto sull’effetto “WOW” da parte del pubblico ma dopo un certo numero di visioni iniziano a stancare l’occhio. La lentezza di alcune scene non è giustamente soppesata da dialoghi epici e spesso si scade nell’ovvio e nel pieno riempimento.

Lo stesso cast artistico fa davvero fatica, poca espressività ed eccessiva enfasi in alcune occasioni rendono Ben-Hur inutilmente carico, smembrato di quell’aura sacrale e quasi celebrativa che Heston e compagni avevano stabilito nel 1959.

Va dato atto della perfezione degli effetti speciali, unica nota positiva del film, ma, dopo tutto, cosa ci possiamo aspettare sotto questo punto di vista da Paramount e Metro se non la perfezione? Insomma un tratto somatico ovviamente bello ma che da solo non basta a sorreggere un impianto scenico cencioso e a tratti snervante. C’è poco di kolossal in questo Ben-Hur, la stessa fotografia è eccessivamente luminosa a tratti patinata di un lucido irreale.

Ben-Hur di Timur Bekmambetov è un disastro su tutta la linea, ne da ampia dimostrazione il clamoroso flop al box office americano. Ciò che il tempo conserva gelosamente immortale sarebbe d’uopo averne maggior rispetto.

Regia - 1
Sceneggiatura - 1
Fotografia - 1
Recitazione - 1
Sonoro - 1
Emozione - 1

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